mercoledì 25 febbraio 2009

METAMORFOSI,FURIA E SCUOLA GUIDA




Questa è la storia dell'insolito caso di Sergej.
Sergej fa l'istruttore di scuola guida.
Dal nome non si direbbe, ma è italiano, sui trent'anni. Dà agli allievi di turno delle lezioni pratiche, sedendosi sul sedile destro e dicendo quel che devono fare.
Ed è un lavoro infernale.
Certi principianti sembrano condannati a non imparare mai a guidare, facendo errori a mitraglia.: partono sbagliando marcia, non mettono la freccia, non girano mai il volante al momento giusto. Non che siano tutti così, un buon cinquanta per cento è gente brava, che sa come muoversi, ma chissà com'è non rimane mai a lungo o capita ad altri.
Gli allievi più irrecuperabili sono quelli di sesso femminile. Alcune sono così imbranate che colpiscono le saracinesche, perlopiù non sanno proprio come muoversi appena salite in macchina. Ciò ,oltretutto, non succedeva solo con le principianti. Alcune venivano a rinnovare la patente per la seconda volta e colpivano il marciapiede ogni volta che svoltavano.
Ma Sergej riusciva a mantenere la calma. Ed è incredibile, considerando tutta la rabbia repressa che quel lavoro gli aveva causato. Lui non si agitava mai; non che i comportamenti scorretti dei suoi allievi non gli facessero uscire il fumo dalle orecchie, ma non dava mai in escandescenza, nè alzava la voce. Con calma gli spiegava sempre gli errori e come comportarsi. Anche se ardeva dal desiderio di demolire la loro faccia con i pugni, di legarli davanti all'automobile e andare a schiantarsi contro un muro, riteneva che con la rabbia non si ottiene mai nulla e che con la calma e la pazienza sia possibile raggiungere ogni traguardo.
C'erano giorni, però, in cui ne dubitava.
C'era da chiedersi come fosse riuscito a trattenersi tutto quel tempo, forse per quei pochi allievi bravi e simpatici, forse perchè alla scuola guida aveva delle amicizie, forse perchè talvolta, la sera, quando tornava a casa, si sfogava sul sacco da pugile.
Ma bastavano? Non erano solo gli errori madornali dei principianti e non principianti a tormentarlo: alcuni non parlavano altra lingua che non fosse il dialetto. Se ne uscivano fuori con certe atrocità linguistiche che ti si atrofizzavano le gambe al sentirle. Il peggio era che non capivano altro; se gli si parlava in italiano, non capivano.
Ma da questo punto di vista il peggio era dato dall'Ingegnere. L'ingegnere era un anziano amministratore che veniva con lui agli esami di guida; era lui che portava le patenti nuove e le consegnava. Il suo modo di parlare sfiorava l'assurdo: diceva diecimila cose in un secondo, e nessuna di queste in italiano. Quando faceva delle domande, rispondergli senza farlo arrabbiare era una fatica degna di Ercole dal momento che comprendere quale fosse la domanda era difficilissimo. Spesso l'ingegnere diceva : non è forse così? Che cos' è che ho detto? Giusto? E rimanevi spaesato, senza sapere cosa dire. La cosa era un problema sopratutto durante gli esami: l'Ingegnere parlava con gli studenti dicendogli cose sul tragitto e loro non capivano, rimanendo, davanti agli incroci, incerti su cosa fare. Quando alla fine dell'esame l'Ingegnere diceva di prenotare altre guide per non perdere la pratica, subito dopo diceva mille altre cose, talvolta anche private o dirette a Sergej o qualche altro istruttore presente, tanto che gli allievi non capivano nemmeno se erano stati promossi. C'era da uscire matti quando qualche istruttore chiedeva agli studenti cosa avesse detto l'Ingegnere, riferendosi alla prenotazione di altre guide: ai neopatentati da appena un secondo girava la testa così tanto da non capire nemmeno dove fossero.
E il tempo passava sempre così per Sergej, fra una lezione a qualche incompetente e serate noiose. E intanto il furore montava. Anche perchè Sergej aveva programmato altro per la sua vita, fare l'istruttore non rientrava fra i progetti che aveva fatto nella sua gioventù. Non che avesse covato il sogno di una vita particolarmente avventurosa, di una vita al limite, piena di emozioni, di agitazione eccetera. Più che altro aveva covato l'intenzione di fare un lavoro dinamico e aperto, non che lo rendesse milionario, ma che gli permetesse di vedere posti nuovi, gente nuova...Certo è che anche così vedeva gente nuova, ma Sergej aveva in mente ben altro. Sperava in un lavoro che gli permetesse di viaggiare di più, qualcosa di migliore... E invece eccolo qui, a stare sempre a contatto con gente che lo faceva uscire dai gangheri.
Faceva questo lavoro da poco tempo che già conosceva la disperazione.
Dopo un certo periodo, cominciò ad avere sogni omicidi, stava lunghi minuti a immaginarsi come trucidare il malcapitato di turno. Poi però tornava a fare il suo lavoro, ligio al dovere. Peccato però che durante la guida il desiderio di morte cresceva. E con esso la disperazione, che portò rabbia.
E con il tempo la rabbia aumentava e cresceva.
E continuava ad aumentare.
E lui non faceva mai nulla. Faceva sempre del suo meglio per mantenere la calma.
E la manteneva.
E nel frattempo giungeva la frustazione.
Con essa il risentimento.
Sempre la stessa vita, ed ecco che tornava la rabbia.

Fino a quando accadde che...

Era un esame come tanti, la ragazza alla guida, l'Ingegnere dietro, Sergej sul sedile del passeggero, e orrori a profusione. La ragazza aveva iniziato malissimo, senza mettere la freccia, senza guardare, e Sergej si ritrovò sul baratro che fa da limite alla pazienza e porta alla furia: avevano fatto insieme venti lezioni. Come se non bastasse, l'Ingegnere urlò al volo appena vide la partenza sballata. E continuava a farfugliare innervosito per tutto il tragitto, e la ragazza andò in agitazione, come se la sua incapacità non fosse già abbastanza. Rimase insicura per tutto il tempo, e da dietro quell'altro continuava a fare versi incomprensibili. Sergej cominciò a contare fino a dieci. La ragazza scavalcò un marciapiede e prese una buca. La rabbia montava.
La ragazza fece un errore a girare e lo specchietto retrovisore andò a sbattere su un palo, e l'Ingegnere allungò un braccio sbraitando, e dopo aver detto centomila cose in dialetto in un solo secondo, chiese a Sergej: non è vero, Sergej? Diglielo.
A quel punto Sergej cadde nel baratro.
Urlò e con i pugni chiusi colpì il tetto della macchina, e poi il cruscotto davanti a sè, e lo fece così forte che la macchina fece un salto in avanti, e le ruote posteriori si alzarono da terra. Dopo un simile sbalzo, la macchina si fermò.
E qualcosa di strano cominciò ad accadere al corpo di Sergej.
Mentre l'ingegnere sbraitava, la ragazza guardava impallidita il volto dell'istruttore che diventava rosso e teso, con le vene a fior di pelle, drighignava i denti e respirava in modo affannoso, e il corpo era percorso da tremiti. I pugni si aprirono a scatti, mentre i peli crescevano sulle mani e dalle dita spuntarono fuori artigli affilati lunghi dieci centimetri. Anche sul volto stava succedendo qualcosa di strano.La ragazza uscì impaurita, ma troppo velocemente, cosicchè inciampò sul marciapiede. Nel frattempo vide che lo sportello destro anteriore fece un volo in aria di una decina di metri. Il tetto, nello stesso punto, fu piegato all'esterno con una forza sovrumana, il parabrezza si ruppe e uscirono fuori parecchi pezzi del cruscotto.
Poi di lì uscì fuori qualcosa di infernale: una metamorfosi che solo un'ira covata a lungo, fino a raggiungere dimensioni faraoniche, poteva aver causato, un' ira che urlava di volere punizione, vendetta e morte. Gli abiti di Sergej erano stracciati, il suo fisico si era fatto più dinamico e potente, il suo corpo era ricoperto di pelliccia, liscia e nera. Del suo volto non rimaneva più nulla, al posto della vecchia testa ora stava una testa di gatto, o perlomeno qualcosa che gli assomigliava. Le orecchie a punta c'erano, ma lo sguardo negli occhi lo rendeva mostruoso, sul suo volto albergava la ferocia, l'ira e la sete di sangue. La bocca aperta mostrava tutti i denti, accuminati come chiodi. Pareva avere tutta l'intenzione di balzare e uccidere qualcuno. La cosa peggiore era che poteva benissimo riuscirci: era dinamico, mostrava muscoli possenti e atletici, tutto in lui era affilato, come atto a fendere l'aria, dai gomiti al muso, dalle dita alle orecchie. Artigli e denti completavano l'opera.
Per una volta l'ingegnere stava zitto, spaventato inchiodato al sedile, con la bocca aperta per la paura. La belva felina staccò la portiera posteriore e prese il vecchio: lo azzanno al mento staccandogli la mascella e poi lo scaraventò per terra, aprendogli ilpetto con gli artigli. Così gli strappò il cuore e lo ingoiò , e non contento lo prese con le fauci e lo sbattè sulla macchina.
La ragazza si rialzò e iniziò a correre. La belva la inseguì, era molto veloce e la raggiunse subito, e con un balzo le fu addosso.La prese, la sollevò tenendo il suo muso dietro la sua schiena, e con una zampa la trafisse, attraversandola. La zampa entrò nella schiena e uscì dalla pancia. Poi , con i suoi artigli, si accanì sul suo volto.
Finita la carneficina, ritornò ad essere Sergej.
Ora Sergej è oggetto di studio della comunità scientifica. Benchè rinchiuso in manicomio per un paio di settimane, lì ha avuto modo di rilassarsi e riprendersi dallo stress. Finalmente ora viaggia in giro per il mondo e, frequentando scienziati, può dire di conoscere un mucchio di gente interessante. Ne approfitta anche per esercitarsi con l'inglese. Viene mantenuto dalla comunità scientifica, il vitto è ottimo e, finalmente, ora è felice.













3 commenti:

  1. No, non intendevo dire che il nome non facesse sembrare il Nostro di trent'anni, intendevo dire che non lo faceva sembrare di nazionalità italiana.

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  2. Beh io dubiterei pure sulla sua umanità...

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