sabato 9 maggio 2009

TENEBRE III parte (conclusione)

Cado!
Cado giù!
Ho solo varcato la porta della casa di una squillo. E precipito. E' tutto buio.
Sbatto sul fondo di questo precipizio. Fa male, ma sopravvivo. Il cuore mi batte a mille, il panico si impossessa di me. Ma che cacchio è successo? Io sono solo venuto nella casa di una prostituta. Ne ho ben donde di goderne, cribbio, dopo anni di matrimonio fallimentare, con un baccalà per compagna, che ho dovuto pure ammazzare per ricominciare un pò a vivere, credo di essermi meritato la bella vita. Ergo, che diavolo succede? E' come se da quella porta fossi cascato in un fosso, qui è tutto terriccio.
Ed è pure tutto buio.
Bene, almeno questo. Nel buio io mi so orientare, nelle tenebre io ci sguazzo, sono come la mia vera casa. Qualunque cosa accada, nelle tenebre c'è la risoluzione ai problemi. Quindi mi alzo e vedo di capire dove sono, cammino e cerco dei muri, ma non ne trovo. Protendo le mani insicuro, ma non incontro nulla.
Poi il terrore: una mano mi tocca la spalla da dietro. Mi giro urlando cercando alla cieca chi è stato. Inciampo e cado, la faccia mi finisce fra il terriccio.
Se c'è qualcuno dietro tutto questo,se ne pentirà: nessuno può fare questo a me, uno dei più importanti boss della mala. Io sono forte, sono intelligente, la potenza è dalla mia parte, tutti mi temono e mi rispettano. Nessuno può buttarmi giù in un fosso e farla franca. Nessuno mi fa fare la figura del coniglio e ne esce vivo. Sicuro di me, mi alzo fiero tra le tenebre, pronto ad affrontare questo misterioso avversario.
Poi la odo: una risata, bassa e lunga, quasi satanica, pare fatta da un maniaco. "Chi è?" dico. "Chi è l'idiota che rischia la vita in questo modo? Ti ucciderò per questo"
Incomincio a sudare, questa risata è inquietante. Tendo le mani cercando qualcosa nel buio, mentre il cuore prende a battere più forte. Cammino nel buio, che sono sicuro mi proteggerà, perchè se io non poso vedere lui, lui non può vedere me. La mia mano tocca un oggetto freddo e metallico: la lama di un coltello. Mi procura un taglio alla mano. Mi prendo la mano ferita urlando, dolorante e terrorizzato. Ma che cacchio succede? Il coltello mi sfiora il viso e mi fa uno squarcio fra i vestiti. Urlo impaurito come un matto. Cado ancora. Cerco qualcosa fra le tenebre, ma non trovo nulla. All'improvviso odio il buio. All'improvviso voglio che non faccia più buio, voglio vedere attorno a me che succede.
Rumori e risatine tutt'attorno a me. Mai che giungano dallo stesso posto. La paura mi attanaglia, per la primissima volta in vita mia ho paura del buio. Mi ranicchio spaventato. Cazzo! Io sono l'uomo più potente della regione, non posso permettermi un simile cuore di coniglio. Il cuore batte all'impazzata. Mi agito.
Poi la mia mano sfiora l'accendino nel taschino della giacca. Lo userò per avere un pò di luce.
Mi alzo in piedi tremante nel buio. Sento il fiato dell'accoltellatore addosso a me. Faccio luce con l'accendino. E' davanti a me, ed è abominevole.
Non è un uomo, è un manichino nero. Non è fatto di carne, non ha un viso. E' l'oscurità incarnata, è fatto di tenebre, tutto nero. Ha forma umanoide, ma non ha volto. Alza il braccio, nella cui mano c'è un coltello. Capisco: questa è la punizione per tutto il male che ho fatto, per tutte le tenebre che ho sparso nella vita degli altri.
Piango come un marmocchio. Il coltello cala, l'accendino cade e si spegne. Il metallo lacera il mio petto e raggiunge il cuore. E tutto ciò che c'è dopo è solo l'oscurità.

mercoledì 15 aprile 2009

STORIELLA: IL SEQUEL


Arrabbiato perchè escluso dalla storia precedente, arriva il brutto e ammazza tutti. Autore compreso.

martedì 14 aprile 2009

STORIELLA



C'era una volta un buono.
Poi arrivò un cattivo, il quale fece cose molto cattive, e tutti si trovarono in pericolo.
Per fortuna, il buono fermò il cattivo e salvò la situazione.
E vissero tutti felici e contenti.

lunedì 13 aprile 2009

TENEBRE parte II

Amo le tenebre, lì tutto si dissolve e ogni cosa si confonde con un affascinante nero, fino a sparire e a non esistere più.Tutto si prendono, su tutto alla fine hanno il soppravvento, nel loro dolce ventre svaniscono i problemi. Se ci sono loro, la mia vita cambia sempre in meglio. Grazie a loro sono vedovo, e così la mia vita è migliorata.
Notevolmente. Sono diventato più felice, anche gli altri me lo dicono. Sono diventato più radioso, anche il mio segretario, Carlo, dice che basta vedermi in faccia per notare un cambiamento positivo in me. Poteva essere altrimenti? Quella zecca di mia moglie era la reincarnazione di tutte e dieci le piaghe d'Egitto. Non passava giorno senza fastidi, senza assilli o senza gran dispendio di soldi.A letto era una ciofeca e metterle le corna era più difficile di uccidere il presidente di qualche nazione, visto che mi monitorava ventiquattr'ore su ventiquattro. Alla fine però me ne sono liberato. Di lei e di un altro malcapitato cretino. Se li sono presi le tenebre, quel gran capolavoro dedicato al male che è l'oscurità li ha divorati, e ora non esistono più. O gioia. O gaudio.
Da allora donne a go-go: pulzelle, preparatevi, "gigolò Joe" è tornato. Sono tornato a essere l'allegro Don Giovanni di un tempo, ruolo più che mai adatto a me. Se mai farò carriera nella mafia, se mai diventerò ancora più importante, una delle prime cose che farò sarà abolire questa sciocca usanza per la quale un boss deve per forza essere sposato. Un vero uomo deve essere libero, come lo sono io ora. Ogni sera una diversa, libera, fidanzata o sposata. E se non rimorchio, ci sono sempre squillo d'alto bordo, che si confanno a un imprenditore di successo come me. Ritornare a donne liberamente è una gran soddisfazione.
Proprio come adesso. Mi stò dirigendo da una che ci sa fare, e per questo forse si fa pagare tanto, ma se li merita, e si farà gran festa. Alla guida della macchina c'è Carlo, stiamo andando ai confini della città. E' molto tardi, quindi molto buio. Bene, mi fa sentire a mio agio. Non mancano molti isolati ormai, in compenso manca molta illuminazione. Dopotutto certe cose si fanno di nascosto, si preferisce tenere segrete abitudini di questo genere.E qui entrano in scena le tante bistrattate tenebre, che occultano, che offrono la sicura e confortante copertura, proteggono, ti puoi muovere senza remore in esse, perchè nessuno verrà mai a renderti il conto di ciò che facciamo là, una delle cose più dolci. Alla fine ci fermiamo davanti ad una casa con giardino, scendo e citofono mentre noto che c'è molta poca luce. Mi aprono e dico a Carlo di aspettare, lui fa battute e dice che faccio bene a godermi la vita così. Lo lascio e mi dirigo verso le tenebre di quella casa, verso le sue caldi, accoglienti tenebre. Se mi fossi voltato, avrei visto che ben altre tenebre si imponevano allo sguardo di Carlo, portate da una mano che tagliava la gola.

continua...

lunedì 6 aprile 2009

A LORENZO

Esistono grandi persone, che hanno il dono di ispirare.
Ispirano all'ottimo, al ben fatto, insegnano l'arte.
Ancora di più, ispirano all'interessarsi agli altri, a esplorare, ad aprirsi.
A cercare.
Fanno di te persone migliori.
Hanno grandi doti: pazienza e saggezza, fra le altre.
Sono dei grandi.
Bisogna essere fortunati a trovarli.
Io sono stato fortunato.








lunedì 30 marzo 2009

TENEBRE

Quando tutto si dissolve nelle tenebre il mondo diventa più bello, perchè lì spariscono i nostri peccati e i nostri segreti, i problemi spariscono e vengono sepolti nel buio, chi odi e chi ti odia muore. E, sopratutto, le tenebre sono belle. Affascinanti. Seducenti. Là è il mio mondo.
Là mando tutte le persone che uccido, là lavoro, là mi riposo, là mi diverto.
Grazie a esse presto sarò vedovo.
Prenderò due piccioni con una fava: mi libererò di uno scemo che mi derubava e di mia moglie.
Grande.
Carlo mi telefona, dice che stà arrivando con Donato.Bene, ho fretta di ucciderlo, così posso mettere fine anche a questa stupidaggine del matrimonio. Tutto sommato dovrei ringraziare Donato: il fatto che mi abbia derubato di molto denaro mi stà dando grandi vantaggi. Posso far ricordare a tutti chi è che comanda qui, per un boss della mafia del mio calibro questo è importante, far ricordare a tutti che nessuno può fare il furbo con me. E ho un pretesto per accoppare quella sciaquetta di Ambra, mia moglie.
Donato è un pò un corriere, prende i soldi degli allibratori e li porta in ufficio, li dà a Carlo, il mio segretario. Un pò è proprio grazie a Carlo se ho scoperto che Donato mi derubava: va da alcuni allibratori per sbrigare delle pratiche e, già che c'è, chiede quanto hanno fatto. Dal momento che non era necessario che tornasse in ufficio quel giorno e che io ero nei paraggi, per il resoconto di quello che ha concluso con gli allibratori ci incontriamo in un bar. Lì mi dice la somma che hanno fatto gli allibratori. Poi torno in ufficio, dove trovo Donato che parla con Ambra. Una discussione innocente. Lui mi dà i soldi che ha preso e se ne va. Peccato che sono meno di quanto Carlo mi ha detto. Faccio delle telefonate agli allibratori e gli chiedo quanto hanno fatto la settimana precedente. Io ho ricevuto di meno. Era chiaro che quel babbeo mi stava derubando, e in una maniera molto poco intelligente. Avrei potuto ucciderlo subito, ma mi venne un'idea. Avevo beccato Donato da solo con mia moglie. Non facevano nulla di male, però io ero l'unico a saperlo, e sono potente: se dico che Ambra mi tradisce con Donato tuti mi crederanno. Avrò il diritto di ucidere entrambi. E sarebbe pure ora, non sopporto più di essere sposato a quell'idiota.
Non sopporto più di essere sposato e basta. E' per una fottuta questione di cosìdetto "buon gusto" se lo sono, è perchè sono un capo importante, prestigioso nell'ambiente, e quindi non è accettabile il fatto che sia scapolo, devo avere una moglie. E fra tutte le mogli che la mia famiglia mi poteva dare, proprio Ambra mi doveva capitare? E' una rompicazzo patentata, non posso sbattere le palpebre che ha da ridire, non ho più un attimo di pace, critica ogni cosa che faccio, viene a parlarmi di fesserie quando sono occupato in cose importanti. E spende, spende troppo. Già di per sè il matrimonio è una gabbia che non ti permette di divertirti, di fare la bella vita, di avere un sacco di donne come si converrebbe ad un vero uomo come me, sano e robusto. E Ambra la rende ancora più soffocante questa gabbia, lei mi controlla, non mi dà respiro, pretende di essere informato di tutto quello che faccio, anche se vado solo a spedire una lettera;e nemmeno facciamo vita mondana, non è che usciamo, per lei la serata ideale è quella passata a casa, e così non vado mai a nessuna festa; a letto poi è una delle peggiori sciaquette che abbia mai incontrato; e non posso parlare di tenebre e sull'oscura natura umana che lei urla perchè s'inquieta. Adesso basta, sono arrivato al limite, voglio tornare alla bella,vecchia vita. E' ora.
Ho fatto passare una settimana e ho fatto in modo che Donato trovasse ancora solo mia moglie in ufficio e sono solo io a trovarli. Come previsto, Donato si è di nuovo tenuto un bel pò di bigliettoni. A questo punto faccio spargere la voce: Donato deruba il boss. E non solo. Faccio dire pure che quando mi portava i soldi, lo trovavo solo con Ambra. Adesso Carlo suona alla mia porta. E' accompagnato da due gorilla e ha Donato nel bagagliaio. Dico ad Ambra di venire con noi. Lei naturalmente non vuole, allora la picchio e, adesso che ci sono i miei uomini, comincio la sceneggiata del marito cornuto che ha trovato la moglie con l'amante: urlo che l'ho trovata a letto con Donato, che è una puttana, che Donato è il suo amante eccetera. Recito bene, i ragazzi sono sgomenti, guardano la scena prendendo per vero ciò che dico. Bene. Carichiamo Ambra in macchina e andiamo.
E' sera, anzi ormai è notte, l'ideale per eliminare chi odi, le tenebre ti avvolgono e fai meglio il tuo lavoro. Arriviamo in campagna, fino a una radura piena di grossi buchi, profondi una decina di metri, è qua che si trovano molti miei nemici, molti di quei fessi che hanno cercato di farmi la pelle. Sono stato io a farla a loro.E ora i loro cadaveri si trovano qua dentro.Nei loro fondi oscuri.
Porto Donato e Ambra al bordo di uno di questi. Dico quello che gli stò per fare, il motivo per cui lo stò per fare. Naturalmente partono i Mi Dispiace e i No Non è Vero.
Donato dice che ne aveva bisogno, che se lo risparmiavo avrebbe fatto qualsiasi cosa e vaccate varie. Ambra dice che non mi ha mai tradito, che non l'ha mai fatto.E' da lei che voglio iniziare: le sparo nella spalla e lei urla, anche io urlerei, per la gioia.Altra spalla altro proiettile. La gambizzo. Poi le sparo nella pancia e lei cade all'indietro nel pozzo. Giuù nel pozzo. Poi tocca a Donato che si prostra ai miei piedi, ma i miei uomini lo tirano su e io gli sparo nella testa e lui muore.Poi lo mando giù dietro ad Ambra, giù nelle tenebre. Là essi spariscono, là le tenebre se li tengono per sempre e là si dissolvono, e il mondo diventa più bello.


continua...

sabato 21 marzo 2009

MANI ROSSE



Questa è la storia di Gianni Rota, pugile dalle mani rosse, rosse come può esserlo l'ardore.
Gianni Rota era nato povero, difficilmente la famiglia riusciva ad arrivare a fine mese.
Smise presto di andare a scuola, aveva trovato un altro modo per andare avanti: il pugilato.
Però gli mancava la possibilità di entrare nel giro dei professionisti, così si dovette accontentare delle lotte nei bassifondi. Si fece presto un nome, una certa fama. Grazie a quelle magiche mani rosse riusciva a raccimolare abbastanza soldi per sè e la famiglia.
E, continuando, Gianni scoprì anche che gli piaceva. Quelle mani rosse erano belle. Il pugilato diventò il suo credo.
Però non poteva durare: andando avanti gli avversari si facevano sempre più forti, e Gianni si ritrovava sempre più spesso non all'altezza. Era molto giovane dopotutto.
Il suo morale cadde anora più in basso quando il padre li abbandonò, a Gianni e sua madre: uscì di casa e non si fece più vedere.
Poco prima dei vent'anni lasciò il pugilato. Era diventato un mondo troppo difficileper lui, aveva bisogno di appoggiarsi a qualcosa.
Iniziò a cercarsi un lavoro serio, ogni volta però c'era sempre qualcun altro con una laurea o con una raccomandazione che glielo soffiava.Per andare avanti tirò la carretta. Faceva un pò di tutto, e si ritrovò a fare qualcosa anche per Giuseppe Tagliana, famigerato boss della mala locale. Non che facesse qualcosa di molto grave, non ha mai rapinato, ucciso o scippato. Più che altro spacciava mariyuana, il più delle volte faceva da gorilla ai ricettatori o a qualcun altro di importante, il corriere che portava soldi alle mogli dei carcerati. Ma mai niente di che.
C'aveva fatto l'abitudine quando conobbe Gloria.
Gloria era la più bella donna che avesse mai incontrato. Se ne innamorò all'istante. Per lei era pronto a fare qualsiasi cosa, a gettarsi nel fuoco e a scalare le montagne più alte.
Gloria, dal canto suo, ricambiava il suo amore. I due si volevano sposare.
Ma fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, e in questo caso il mare aveva le sembianze dei genitori di Gloria. Loro non avrebbero mai permesso che la figlia andasse ad uno spiantato quale era Gianni. Loro avevano altri progetti.
Gianni e Gloria pensavano allora di darsi alla fuga, ma Gianni doveva pensare anche a sua madre e poi con la fuga non avrebbero risolto niente, di che cosa sarebbero vissuti?
Gianni era più che determinato a trovare il modo di fare un mucchio di soldi per Gloria, ed era disposto a fare di tutto.
Pensò di chiedere un prestito a Tagliana, ma sapeva che indebitarsi con lui significava solo guai. Però il boss qualcosa per lui la potava fare: poteva fargli di nuovo fare pugilato.
Per una volta il cielo gli arrise: Tagliana disse sì. Come al solito però gli arrise a metà: poteva giocare solo alle sue condizioni.
E così ricominciò.
Le sue mani ritornarono a essere rosse. Rosse splendenti.
E stavolta nel giro dei professionisti.
E fu gloria e vittoria: si era aperta una stagione dorata per Gianni. Un match vittorioso dopo l'altro, Gloria e sua madre erano fieri di lui.
Aspetto non secondario, lo stipendio non era male. Certo, avrebbe guadagnato molto di più se fosse stato lui a detenere i diritti della sua immagine, i quali erano di Tagliana, ma andava bene anche così, riusciva a mantenere sè stesso e a mettere da parte abbastanza per vivere con Gloria.
Proprio su questo versante però sorse un problema: i genitori le avevano trovato un marito, ricco e importante.
Gloria, però, preferì non dirgli niente, non voleva demoralizzarlo. Non ora che stava andando a concorrere per la finale del campionato, per diventare il migliore d'Italia.
Gianni era al settimo cielo, aveva riscoperto l'amore per il pugilato. Cominciò ad allenarsi duramente per il campionato. Si svegliava prestissimo e si esercitava fino a sera, era detertminatissimo, mai come ora il paradiso gli sembrava così a portata di mano. Dieci sparring partners al giorno e dieci kilometri di corsa. E le mani rosse sempre con lui, a brillare del loro splendore, degno del sole quando tramonta.
Attorno a lui era stato creato il mito del sogno, fu Tagliana a pubblicizzarne la storia personale: nato povero, lavori umili, box come sola occasione di riscatto e compagnia bella. Gianni era diventato popolare, a livello nazionale.
Una sera fu chiamato a casa di Tagliana, e qui ricevette un colpo peggio che dal più agguerrito dei pugili: il boss gli disse che doveva perdere l'incontro. Gianni ci rimase di sasso, non era sicuro di aver capito bene: che voleva dire che doveva perdere? Ora che era diventato famoso e importante? Gloria e la mamma contavano su di lui. Il boss gli rispose che doveva farlo perchè era così che aveva sempre programmato che andasse, che aveva speso tanto per renderlo il favorito, per renderlo una star. Era tempo di raccogliere i frutti, che andasse a tappeto alla quarta ripresa. In cambio, tanti soldi.
E così Gianni scelse di scendere a compromessi, decise di perdere.Per Gloria. L'importante era avere il mucchio di soldi che Tagliana gli aveva promesso, con i quali si sarebbero sistemati.
Andò a parlarne con Gloria, e qui peggiorò: lei vuotò il sacco e gli parlò del matrimonio organizzato.
A Gianni crollò il mondo addosso. Se ne fuggì di là piangendo.

Arrivò la finale.
Era lui sul ring, da solo contro tutti. Non era solo contro Masto, vincitore della scorsa edizione, gli pareva che ogni cosa fosse contro di lui: Gloria l'aveva tradito, Giuseppe Tagliana pure, ed ora doveva tradire lo sport in cui credeva, in cui aveva messo tutto, che era la sua gioia.
Tagliana sedeva fra il pubblico, sua madre lo vedeva da casa, in televisione, e una folla di matti esultanti circondava il ring. Gianni si chiese quanto si poteva aspettare da questi matti, lui che era sempre stato tradito da tutti e da tutto. E ora stava per tradire anche lui sè stesso, stava per tradire il suo credo: anche se non poteva più accasarsi con Gloria, i soldi offerti da Tagliana erano sempre soldi, era sciocco sputarci sopra.
Il match incominciò: fu gianni a ricevere il primo pugno, demoralizzato com'era l'ardore per la box si era spento. Ma quel diretto in faccia gli fece montare la rabbia: iniziò subito ad aggredire Masto con una grandinata di pugni, uno dopo l'altro. Lo fece indietreggiare e lo mise all'angolo, ma i pugni non erano più le splendenti folgori di prima, il rosso del sole si era spento. Era solo la rabbia a darci dentro.
Il primo round fu suo. I suoi occhi incrociarono quelli di Tagliana, che con lo sguardo gli comunicò il suo dovere, come fosse un bambino pestifero. Non ce n'era bisogno, la rabbia si era spenta, come tutto nella sua vita. Nulla poteva impedire ad un agguerito Masto di riempire di pugni Gianni nel secondo round. E così fu.
Gloria lo vedeva da casa. Era a pranzo a casa dei suoi, c'erano il suo promesso e le loro famiglie. Ma Gloria vedeva in televisione il suo amato. Entusiasta per il primo round, rimase con il cuore in gola per tutto il secondo. Gianni le prendeva, e di brutto. Lei lo conosceva, capì che lui aveva deciso di vendersi.
E venne il terzo round. Gianni aveva deciso di andare giù al quarto, come d'accordo, ma si chiese se poteva arrivarci: l'ardore non c'era più. Il terzo round fu violentissimo: riuscì ad assestare ben pochi pugni, e ne prese tanti. Masto era troppo forte, lo incalzò di montanti a non finire. Costrinse Gianni ad un angolo e Gianni si ritrovò a mostrare la spalla destra come ben magra difesa. Gloria vide la spalla e il braccio destro di Gianni coprirsi di lividi. Allora decise: si alzò e mandò all'inferno tutti i presenti, stai scherzando disse il promesso che si prese un bel tuzzo in fronte e Gloria usci via di corsa, diretta verso lo stadio.
Gianni le stava prendendo di brutto, due pugni al petto gli ruppero due costole. Se non fosse già tutto un dolore, si sarebbe buttato a terra dolorante a piagnucolare.
Pausa. Poi il quarto round. Faccio schifo, pensò Gianni. Per farsi forza pensò al suo compenso.
Cominciò il quarto round: Gianni cercò di comportarsi meglio che potè, il braccio destro era pressocchè inutilizzabile. Evitò colpi meglio che potè, poi giunse il momento da Tagliana tanto atteso: tre diretti in volto e Gianni cadde a terra.
L'arbitro cominciò a contare.

http://www.youtube.com/watch?v=ZNGe7iK1O-4
Gianni pensò che quella in pratica era la sua vita: appoggiarsi a qualcuno di importante e cadere, cadere non tanto per un raro compenso, ma perchè tutti sono sempre meglio di te, dal tuo capo al tuo concorrente, e tutti gli altri a sputarti addosso. La folla che circondava il ring lo insultava, gli davano del fallito, lo dicevano tutti là, lo diceva la folla, lo diceva chi prima era un suo fan, lo diceva Masto, lo si vedeva negli occhi di Tagliana. Glielo avevano sempre detto tutti, tutti quanti, persino suo padre e la famiglia di Gloria, l'unica eccezione, che ora non aveva più. Gli venne una gran voglia di alzarsi, di cambiare, il cervello gli imponeva di stare giù, ma aveva una gran voglia di dimostrare che si sbagliavano, di dimostrare a sè stesso che poteva essere qualcosa di più. Stà giù gli diceva una voce, alzati e combatti da uomo gli diceva un'altra voce. Quest'altra voce divenne più forte, pareva quella di Gloria. Gianni girò la testa verso la fonte e la vide: Gloria, in mezzo alla folla, a urlare di alzarsi, a dire che sarebbe tornato con lui, ma non l'avrebbe fatto si fosse lasciato sconfiggere così.
E va bene...
Gianni si alzò. L'arbitro disse nove, ma lui era già in piedi. Tagliana sbiancò in volto. Gloria sorrise di Gioia. Gianni e Masto si scambiarono uno sgurdo, poi Gianni sentì che le sue mani tornavano a splendere, e la luce era rossa, rossa come rosso può essere l'ardore della determinazione, del coraggio, dell'amore. Partì alla carica, Masto si trovò in incredibile difficoltà, poi Gianni ci andò dentro alla grande e vibrò un pugno al basso ventre. Masto cadde agonizzante. L'arbitro contò e quando disse dieci Masto era ancora giù.
Gianni vinse.
Aveva vinto e la gioia andò sul suo volto.
Era il campione.
Tese la mano all'avversario, lui la accolse e lo aiutò a rialzarsi: nessun rancore.
Scese dal ring, la sicurezza cercava di portare via Gloria che era entrata senza permesso, ma Gianni li fermò e abbracciò Gloria e la baciò.
Tagliana cercò di attirarne l'attenzione prendendolo per una spalla, e si beccò un diretto che lo fece volare e lo mandò nel mondo dei sogni.
Qualcuno dette a Gianni Rota una cintura, il premio per il campione.
Finito il match trovò anche il modo di andare avanti: denunciò Tagliana alla polizia, lo mandò in prigione e scelse Gloria come suo agente. Ora la sua fama era alle stelle. Utilizzando la sua immaggine riuscirono a guadagnarci tantissimo.
Gianni aveva fatto il suo match e aveva vinto.

mercoledì 18 marzo 2009

CENTO CONTRO CINQUE







Ciò che voglio fare ora è molto difficile. Devo rimanere concentrato.
Uccidere Matt, in mezzo a questa baraonda, con 100 creature che danno addosso a te e ai tuoi compagni, con te che devi ammazzarne 20 di loro, impiegherà astuzia.
Malediazione al diavolo, se ripenso a come è iniziata questa faccenda, mi vien voglia di spararmi in testa.
Sono Frank Tastle, e assieme a Fru-Fru Man, al samurai Musashi, a Wolfang il Barbaro Cimmero e al Killer Matt stò combattendo contro un esercito di 100 unità, costituito da: 20 elfi, 20 cinesi, 20 non morti, 20 poliziotti swat e 20 mafiosi, quiggiù nel Gan Canyon.
Ma ciò che io davvero voglio è uccidere Matt, il killer. Perchè io faccio questo.

E' tutta colpa dei dannati supereroi se ora sono qui. Colpa loro e di Matt. Che se non stava pure lui, col cavolo che li seguivo fin qui. Che quello è capace di sparire per sempre dalla faccia della terra, dopo questa gazarra, e chi lo stana più quel bastardo poi?
Pareva una cosa come tante: a New York era arrivato un nuovo Killer, Matt, e lavorava per la mafia. Ha un nome, è il killer più pericoloso a cui l'FBI dà la caccia.
Io, naturalmente, voglio ucciderlo. La morte è l'unica cosa che lui e quelli come lui si meritano.
Quelli come lui... E' a causa loro se sono morti... mia moglie, mio figlio, mia figlia...
in un assolato giorno d'estate, a Central Park...
Proiettili impazziti volarono quel giorno, attraverso i nostri cuori. Scagliati dalla spazzatura dell'umanità per altra spazzatura. E non gli importava nulla degli estranei in mezzo. L'inferno si aprì quel giorno, e si prese la mia vita.
Adesso io prendo la sua.
Perchè l'unica cosa che criminali e maniaci si meritano è la morte.
Ed io gliela dò.
Alla gente come Matt.

Avevo scovato il suo nascondiglio, un capannone in periferia, e ci scagliai contro un bazooka. Il fuoco che salì verso il cielo per un secondo mi riportò con la mente al Vietnam. Naturalmente ucciderlo non fu così semplice, altrimenti a cosa si doveva la sua fama. Balzò fuori dal capannone con un borsone pieno degli atrezzi del mestiere e si nascose dietro una pietra. Aveva visto che il colpo di bazooka era partito dai cespugli e cominciò a mitragliarli. L'avevo previsto: prima che cominciasse a sparare, appena lo vidi nascondersi dietro al masso, mi spostai e mi misi dietro a un muretto. Gli puntai contro il fucile, sotto al mitra ho quel bazooka in miniatura che risponde al nome di A 207 e mi preparai a farlo esplodere con quello. Però lui fece una cosa che non mi aspettavo: prese un razzo luminoso e lo lanciò in cielo. La luce purpurea illuminò la scena. Io, come un principiante, mi feci distrarre e alzai la testa e lui deve avermi visto, perchè mi lanciò contro un missile.
Anche lui aveva l'A 207 sotto il mitra. Bene atrezzato, e sapeva come usare i suoi strumenti.
Per fortuna me ne accorsi in tempo e mi levai da lì, giusto in tempo per non morire. Il contraccolpo mi scagliò lontano, non mi sentii più il fucile fra le mani e per un istante tutto fu buio. Solo per un istante. Riaprii gli occhi senza ricordare cosa stessi facendo lì e chiedendomi perchè il mondo si era sdoppiato. Furono le mie orecchie a connettermi, quando sentii un sei Frank Tastle, vero? Preparati a morire seguito dal rumore di un mitra che veniva ricaricato. Vidi il mio di mitra un metro più in là. Appena Matt premette il griletto, mi girai sul terreno raggiungendo il mitra, con le pallotttole che mi volavano attorno. Appena lo presi lo caricai e lo puntai contro di lui: adesso anche lui stava correndo tallonato dai proiettili. Si nascose dietro un albero e risprese a sparare. Anche io mi nascosi dietro un albero e tirai fuori la pistola. Gli puntai addosso il mitra, ma lui mi precedette e sparò colpendo la mia arma e distruggendola. Prima che mi annientasse la testa sparai con la pistola e il suo mitra volò. Io mi avvicinai a lui correndo con la pistola puntata, Matt mi lanciò contro un coltello che mi fece cadere la pistola e mi si scaraventò contro brandendo un machete. Cercò di spaccarmi la testa con un fendente, ma io gli bloccai entrambe le mani e gli calciai lo scroto. Lo prese con una mano, mentre io mi impadronivo del machete, ma lui mi prese la caviglia con l'altra mano e io caddi per terra perdendo l' arma. Lui mi saltò addosso, ma riuscii a scagliarlo lontano calciandolo al petto con ambo le gambe. Ci alzammo e ci fissammo per poi ingaggiare un corpo a corpo.
Era bravo. Conosceva il karate e il Judo. Ma conosceva solo quelli. Lo atterai e mi preparai a spezzargli il collo, quando qualcosa di lungo e fatto di legno mi colpì in volto.
Era Musashi.

Quel supereroe di quart'ordine. Ti pareva che non dovesse venire a rompermi la uova nel paniere?
Spunta fuori che Matt gli serve. Il mondo è in pericolo, dice.
I Compagni della Giustizia hanno scoperto che l'organizzazione terroristica Piovra stà facendo chissàcosa e che Matt, avendo lavorato per loro, sa cosa bolle in pentola e tutte la frescacce del caso.Lì Matt cercò di decapitare Musashi con il machete, ma quello riuscì a fermarlo e, ingaggiato un combattimento, cercò di farlo "ragionare". Ci riuscì, ne posso dire quel che voglio, ma non è stupido.
E nemmeno io.

Vidi la pistaola vicino ai miei piedi. Avrei potuto uccidere Matt mentre era concentrato sul combattimento. Ma, come ho detto, non sono stupido. Musashi sarà pure uno sparacazzate, ma sa quello che dice: se la terra era davvero in pericolo, un mucchio di persone innocenti sarebbero morte.
D'altro canto però non potevo lasciare andare via quel killer così: appena aiutato i supereroi avrebbe fatto perdere le sue tracce e non l'avrei più trovato.
Offrii allora a Musashi e alla sua compagnia di spostati il mio aiuto.
Ed eccomi qui.

Non vi dirò in che consisteva il folle piano di Don Scar (il capo della Piovra, non ve l'avevo detto?), non vi interesserebbe. Vi dico che aveva messo su un esercito abbastanza diversificato per tipologia di elementi (capito perchè stiamo combattemdo contro stì tizi, mò?) e che i Compagni della Giustizia stanno pensando a Don Scar e al grosso dell'esercito nel suo quartier generale in Gemania. Ma qualcuno deve pur pensare al congegno che gli permette di tenere insieme un esercito del genere. Quello lo distuggo io, disse Matt. Capii al volo che una volta distrutto l'affare sarebbe sparito.
Per fortuna decisero di mandarci non solo lui, ma tutta una squadra.E per fortuna ne faccio parte. Visto che a guardia c'erano cento balordi, siamo in cinque: venti ciascuno. Troppo facile, si rischia che ci rammoliamo. Ma tanto io ho un extra: uccidere Matt.
Non avrò altre occasioni. Certo, finita la storia non servirà più e potrei ucciderlo allora, ma i supereroi non me lo permetteranno. Devo ucciderlo ora nel bel mezzo della battaglia. Tutti crederanno che sia caduta combattendo e tutto filerà via liscio, pulito. Vivranno tutti felici e contenti.

Ed eccomi qui, nel mezzo della mischia. I miei venti mafiosi sono tutti dei maledetti figli di puttana, marci fino all'osso, forti e duri. Dei valenti avversari. E anche i venti degli altri non scherzano. Ben presto sparare e scagliare frecce si rivela inutile e optiamo per un corpo a corpo. Tiro fuori il coltello e mi getto nella mischia. Mi attaccano da davanti, da dietro e dai lati (qualcuno pure sopra e sotto), giocano sporco e mordono. Ma io attacco da tutte le parti, gioco lurido, sbrano e artiglio.
Matt ha i suoi swat a cui pensare. Sono tutti corrotti, per questo non mi oppongo al fatto che li uccida. Col machete decapita teste e spezza spine dorsali.
Pure Musashi ci sa fare: venti cinesi, tutti a lanciare shuriken, tutti armati di lance e dardi velenosi, con catene e sahi. E lui riesce a tenergli testa e a tramotrtirne due secondo dopo secondo con solo la sua katana.
Avevo delle riserve su quella checca di Fru-Fru Man, ma mi devo ricredere. Gli elfi sono avversari tostissimi, e lui ne ammazza uno al minuto con armi incredibili. Talvolta vedo terrore negli occhi degli elfi: capiscono che quel tipo mira a scoparsene uno.
Wolfang, il barbaro cimmero, si dà da fare con la sua spada: ha il difficile compito di ammazzare dei non morti. E' molto abile a squartarli e a dividerli in 53. Li riduce in cellule e ha così tanto sangue addosso che non si capisce bene quale sia il suo colore di pelle.
Non divaghiamo.
Devo pensare a Matt.

Uno dei fucili swat, mi serve, così non penseranno che sono stato io.
Ora che nessuno fa caso a me.
Un picciotto mi tiene le braccia avvinghiate attorno al collo e un altro mi viene incontro con un pugnale. Mi piego in avanti e scaglio il tipo dietro di me contro l'altro, ne prendo il coltello e li ammazzo. Già che sono piegato, prendo un fucile swat da terra.
Avviene tutto molto velocemente.
Individuo Matt. Ha ucciso quasi tutti gli swat, quindi ha fatto il suo dovere.Mi dà le spalle. Mi Inginocchio, punto il fucile e ho la sua nuca nel mirino. Sparo e colpisco.
Il proiettile prende il retro del collo di Matt e lo attraversa uscendo dall'altra parte.
Lascio il fucile, mi alzo e mi giro mollando un pugno a un mafioso che mi voleva prendere alle spalle.
La battaglia finisce poco dopo. Agli swat rimasti ci pensiamo noialtri.

Matt stà per terra, supino, moribondo. E' ancora coscente, sa che stà per morire. Lo capiamo dallo sguardo, non può parlare, è stato colpito alla gola. E' in agonia.
E' bellissimo. Lo sguardo nei suoi occhi, il terrore, il dolore, la paura, la consapevolezza che dopo c'è solo l'inferno. ..
Siamo concordi nel dire che è caduto in battaglia, ma nello sguardo di Fru-Fru c'è qualcosa che non va. Ha caputo tutto.
Tremo: questi qui non me la faranno passare liscia.
Però non dice niente.
Wolfang si offre di dare a Matt il colpo di grazia, per non farlo soffrire, era un valido guerriero, eccetera.
Solleva la sua lancia e trafigge il cuore.
Matt muore.
Finalmente.

Fru-Fru Man mi prende da parte prima di partire.Mi chiede perchè l'ho fatto e un motivo per il quale non dovrebbe parlare.
Taglio corto dicendo che conosco un posto a New York dove ci sono un sacco di elfi cattivi che meritano di morire e gli dico che se fa il bravo lo porto con me. Gli occhi gli si illuminano, all'altezza del bacino vedo un rigonfiamento che solleva la sua tunica.
Tace e ce ne torniamo tutti a casa.

E' stata un'avventura proficua.

mercoledì 25 febbraio 2009

METAMORFOSI,FURIA E SCUOLA GUIDA




Questa è la storia dell'insolito caso di Sergej.
Sergej fa l'istruttore di scuola guida.
Dal nome non si direbbe, ma è italiano, sui trent'anni. Dà agli allievi di turno delle lezioni pratiche, sedendosi sul sedile destro e dicendo quel che devono fare.
Ed è un lavoro infernale.
Certi principianti sembrano condannati a non imparare mai a guidare, facendo errori a mitraglia.: partono sbagliando marcia, non mettono la freccia, non girano mai il volante al momento giusto. Non che siano tutti così, un buon cinquanta per cento è gente brava, che sa come muoversi, ma chissà com'è non rimane mai a lungo o capita ad altri.
Gli allievi più irrecuperabili sono quelli di sesso femminile. Alcune sono così imbranate che colpiscono le saracinesche, perlopiù non sanno proprio come muoversi appena salite in macchina. Ciò ,oltretutto, non succedeva solo con le principianti. Alcune venivano a rinnovare la patente per la seconda volta e colpivano il marciapiede ogni volta che svoltavano.
Ma Sergej riusciva a mantenere la calma. Ed è incredibile, considerando tutta la rabbia repressa che quel lavoro gli aveva causato. Lui non si agitava mai; non che i comportamenti scorretti dei suoi allievi non gli facessero uscire il fumo dalle orecchie, ma non dava mai in escandescenza, nè alzava la voce. Con calma gli spiegava sempre gli errori e come comportarsi. Anche se ardeva dal desiderio di demolire la loro faccia con i pugni, di legarli davanti all'automobile e andare a schiantarsi contro un muro, riteneva che con la rabbia non si ottiene mai nulla e che con la calma e la pazienza sia possibile raggiungere ogni traguardo.
C'erano giorni, però, in cui ne dubitava.
C'era da chiedersi come fosse riuscito a trattenersi tutto quel tempo, forse per quei pochi allievi bravi e simpatici, forse perchè alla scuola guida aveva delle amicizie, forse perchè talvolta, la sera, quando tornava a casa, si sfogava sul sacco da pugile.
Ma bastavano? Non erano solo gli errori madornali dei principianti e non principianti a tormentarlo: alcuni non parlavano altra lingua che non fosse il dialetto. Se ne uscivano fuori con certe atrocità linguistiche che ti si atrofizzavano le gambe al sentirle. Il peggio era che non capivano altro; se gli si parlava in italiano, non capivano.
Ma da questo punto di vista il peggio era dato dall'Ingegnere. L'ingegnere era un anziano amministratore che veniva con lui agli esami di guida; era lui che portava le patenti nuove e le consegnava. Il suo modo di parlare sfiorava l'assurdo: diceva diecimila cose in un secondo, e nessuna di queste in italiano. Quando faceva delle domande, rispondergli senza farlo arrabbiare era una fatica degna di Ercole dal momento che comprendere quale fosse la domanda era difficilissimo. Spesso l'ingegnere diceva : non è forse così? Che cos' è che ho detto? Giusto? E rimanevi spaesato, senza sapere cosa dire. La cosa era un problema sopratutto durante gli esami: l'Ingegnere parlava con gli studenti dicendogli cose sul tragitto e loro non capivano, rimanendo, davanti agli incroci, incerti su cosa fare. Quando alla fine dell'esame l'Ingegnere diceva di prenotare altre guide per non perdere la pratica, subito dopo diceva mille altre cose, talvolta anche private o dirette a Sergej o qualche altro istruttore presente, tanto che gli allievi non capivano nemmeno se erano stati promossi. C'era da uscire matti quando qualche istruttore chiedeva agli studenti cosa avesse detto l'Ingegnere, riferendosi alla prenotazione di altre guide: ai neopatentati da appena un secondo girava la testa così tanto da non capire nemmeno dove fossero.
E il tempo passava sempre così per Sergej, fra una lezione a qualche incompetente e serate noiose. E intanto il furore montava. Anche perchè Sergej aveva programmato altro per la sua vita, fare l'istruttore non rientrava fra i progetti che aveva fatto nella sua gioventù. Non che avesse covato il sogno di una vita particolarmente avventurosa, di una vita al limite, piena di emozioni, di agitazione eccetera. Più che altro aveva covato l'intenzione di fare un lavoro dinamico e aperto, non che lo rendesse milionario, ma che gli permetesse di vedere posti nuovi, gente nuova...Certo è che anche così vedeva gente nuova, ma Sergej aveva in mente ben altro. Sperava in un lavoro che gli permetesse di viaggiare di più, qualcosa di migliore... E invece eccolo qui, a stare sempre a contatto con gente che lo faceva uscire dai gangheri.
Faceva questo lavoro da poco tempo che già conosceva la disperazione.
Dopo un certo periodo, cominciò ad avere sogni omicidi, stava lunghi minuti a immaginarsi come trucidare il malcapitato di turno. Poi però tornava a fare il suo lavoro, ligio al dovere. Peccato però che durante la guida il desiderio di morte cresceva. E con esso la disperazione, che portò rabbia.
E con il tempo la rabbia aumentava e cresceva.
E continuava ad aumentare.
E lui non faceva mai nulla. Faceva sempre del suo meglio per mantenere la calma.
E la manteneva.
E nel frattempo giungeva la frustazione.
Con essa il risentimento.
Sempre la stessa vita, ed ecco che tornava la rabbia.

Fino a quando accadde che...

Era un esame come tanti, la ragazza alla guida, l'Ingegnere dietro, Sergej sul sedile del passeggero, e orrori a profusione. La ragazza aveva iniziato malissimo, senza mettere la freccia, senza guardare, e Sergej si ritrovò sul baratro che fa da limite alla pazienza e porta alla furia: avevano fatto insieme venti lezioni. Come se non bastasse, l'Ingegnere urlò al volo appena vide la partenza sballata. E continuava a farfugliare innervosito per tutto il tragitto, e la ragazza andò in agitazione, come se la sua incapacità non fosse già abbastanza. Rimase insicura per tutto il tempo, e da dietro quell'altro continuava a fare versi incomprensibili. Sergej cominciò a contare fino a dieci. La ragazza scavalcò un marciapiede e prese una buca. La rabbia montava.
La ragazza fece un errore a girare e lo specchietto retrovisore andò a sbattere su un palo, e l'Ingegnere allungò un braccio sbraitando, e dopo aver detto centomila cose in dialetto in un solo secondo, chiese a Sergej: non è vero, Sergej? Diglielo.
A quel punto Sergej cadde nel baratro.
Urlò e con i pugni chiusi colpì il tetto della macchina, e poi il cruscotto davanti a sè, e lo fece così forte che la macchina fece un salto in avanti, e le ruote posteriori si alzarono da terra. Dopo un simile sbalzo, la macchina si fermò.
E qualcosa di strano cominciò ad accadere al corpo di Sergej.
Mentre l'ingegnere sbraitava, la ragazza guardava impallidita il volto dell'istruttore che diventava rosso e teso, con le vene a fior di pelle, drighignava i denti e respirava in modo affannoso, e il corpo era percorso da tremiti. I pugni si aprirono a scatti, mentre i peli crescevano sulle mani e dalle dita spuntarono fuori artigli affilati lunghi dieci centimetri. Anche sul volto stava succedendo qualcosa di strano.La ragazza uscì impaurita, ma troppo velocemente, cosicchè inciampò sul marciapiede. Nel frattempo vide che lo sportello destro anteriore fece un volo in aria di una decina di metri. Il tetto, nello stesso punto, fu piegato all'esterno con una forza sovrumana, il parabrezza si ruppe e uscirono fuori parecchi pezzi del cruscotto.
Poi di lì uscì fuori qualcosa di infernale: una metamorfosi che solo un'ira covata a lungo, fino a raggiungere dimensioni faraoniche, poteva aver causato, un' ira che urlava di volere punizione, vendetta e morte. Gli abiti di Sergej erano stracciati, il suo fisico si era fatto più dinamico e potente, il suo corpo era ricoperto di pelliccia, liscia e nera. Del suo volto non rimaneva più nulla, al posto della vecchia testa ora stava una testa di gatto, o perlomeno qualcosa che gli assomigliava. Le orecchie a punta c'erano, ma lo sguardo negli occhi lo rendeva mostruoso, sul suo volto albergava la ferocia, l'ira e la sete di sangue. La bocca aperta mostrava tutti i denti, accuminati come chiodi. Pareva avere tutta l'intenzione di balzare e uccidere qualcuno. La cosa peggiore era che poteva benissimo riuscirci: era dinamico, mostrava muscoli possenti e atletici, tutto in lui era affilato, come atto a fendere l'aria, dai gomiti al muso, dalle dita alle orecchie. Artigli e denti completavano l'opera.
Per una volta l'ingegnere stava zitto, spaventato inchiodato al sedile, con la bocca aperta per la paura. La belva felina staccò la portiera posteriore e prese il vecchio: lo azzanno al mento staccandogli la mascella e poi lo scaraventò per terra, aprendogli ilpetto con gli artigli. Così gli strappò il cuore e lo ingoiò , e non contento lo prese con le fauci e lo sbattè sulla macchina.
La ragazza si rialzò e iniziò a correre. La belva la inseguì, era molto veloce e la raggiunse subito, e con un balzo le fu addosso.La prese, la sollevò tenendo il suo muso dietro la sua schiena, e con una zampa la trafisse, attraversandola. La zampa entrò nella schiena e uscì dalla pancia. Poi , con i suoi artigli, si accanì sul suo volto.
Finita la carneficina, ritornò ad essere Sergej.
Ora Sergej è oggetto di studio della comunità scientifica. Benchè rinchiuso in manicomio per un paio di settimane, lì ha avuto modo di rilassarsi e riprendersi dallo stress. Finalmente ora viaggia in giro per il mondo e, frequentando scienziati, può dire di conoscere un mucchio di gente interessante. Ne approfitta anche per esercitarsi con l'inglese. Viene mantenuto dalla comunità scientifica, il vitto è ottimo e, finalmente, ora è felice.













sabato 14 febbraio 2009

LA NOTTE IN CUI LA DISTRUZIONE FU QUASI CERTA
Una notte avvenne che la città si ritrovò davvero a un passo dalla distruzione. Se non fece quel passo, ciò lo deve solo alla sua buona stella.

Harvey un pò si sorprese per la facilità con cui tutti i preparativi erano giunti a termine.
Non che gli dispiacque, ma provò comunque una grande senso di meraviglia.
C'era riuscito. Finalmente avrebbe distrutto quella città. O meglio, l'avrebbe spezzata.
Perchè un serio cultore del doppio, quale lui si professava, non avrebbe mai distrutto l'intera città, ma soltanto metà di essa.
Soltanto metà.
Come metà di quel volto tanto amato, il volto di Apollo, era stato deturpato. Deturpato dal male che quella città aveva portato in grembo.
Harvey si sedette sulla poltrona situata davanti alla finestra del suo rifugio. Era mezzanotte.
La luce della luna era l'unica che illuminava quel posto, con sole due finestre e molto buio. Molta oscurità. I raggi lunari illuminavano metà del viso di Harvey, la metà che ricordava ciò che era un tempo, mentre l'altra metà del suo volto, che lo avevano spinto a intraprendere i primi passi nel modo del crimine, a fare le prime azioni di una lunga carriera da pericolo pubblico, era avvolta dal buio.
Entrambe esprimevano sorpresa, poichè quell'uno diviso che era la sua personalità era certo che l'impresa che aveva deciso di intraprendere sarebbe stata irta di ostacoli e difficoltosa, ma ora doveva constatare che era stato parecchio facile.
I ricordi andarono indietro nel tempo, a un mese prima, quando cominciò a ideare il piano nella sordida cella di quel manicomio; al giorno dopo, quando riuscì a evadere; e poi decise che si sarebbe messo subito al lavoro, e ,prevedendo dei preparativi lunghi e difficili, decise che avrebbe rimandato il gesto con cui abitualmente decideva la sorte dei suoi avversari fino a quando avrebbe potuto.
La prima cosa da fare era procurarsi abbastanza tritolo per far saltare metà della città, e impiegò due giorni per trovare il fornitore adatto. La ricerca non fu facilitata dal fatto che l'oscuro crociato che si era erto a difensore della città gli dava la caccia. Ma alla fine trovò il fornitore.
Era uno esperto e abituato alle inusuali richieste dei pittoreschi criminali di quella città.Gli procurò tutto il tritolo e tutti i dispositivi necessari per piazzarlo in due giorni. Due. Questo numero tornava sempre, e Harvey lo interpretò come un buon segno. Per il fornitore non attese tempo a deciderne la sorte: fu trovato morto il giorno dopo sul molo due del porto, con due proiettili in corpo: uno nel cervello e uno nel cuore. Poi sarebbe giunta la parte più difficile: piazzare le bombe in metà del territorio cittadino. Nasconderle. Difficile, anche perchè aveva deciso di fare tutto da solo e, per una volta, non affidarsi più a idioti tirapiedi.
Le fogne gli furono di grande aiuto, fu lì che mise la maggior parte delle bombe, sotto le basi dei palazzi; le mise nei sotteranei, nelle grondaie, sui tetti, nelle cisterne; mise nei parcheggi macchine con dentro bombe incendiarie. E fu così che metà della città si riempì di ordigni.

E fu incredibilmente facile.

Un pò lo si dovette alla fortuna: dopo di lui evasero anche E.Nygma e il pagliaccio del crimine , e non ci misero molto tempo a dare grattacapi alla polizia e all'oscuro crociato, che comunque avevano il loro bel daffare già con una loro vecchia, ombrelluta, ornitologica conoscienza, che era da poco diventata il nuovo boss incontrastato della malavita.

Ben presto Harvey avrebbe tolto loro questo bel daffare.
E sì, perchè non aveva scelto la metà a caso. La metà che aveva scelto di distruggere era la metà malvagia: la metà in cui c'era il quartiere malfamato, quella in cui c'era la più alta concentrazione di crimini, quella in cui erano situate le abitazioni dei boss. Avrebbe distrutto quella metà,la metà già malvagia. La città avrebbe assunto una fisionomia simile alla sua: da una parte il bene, dall'altra il male,... e entrambe le parti avrebbero portato segni che le distinguessero già ad una prima occhiata. Proprio come lui...

E ora mezza città era colma di ordigni. Sul bracciolo sinistro della poltrona c'era il telecomando. Bastava premere il pulsante e gli ordigni sarebbero esplosi.

Per una volta, per quell'unica volta, per la città sarebbe stata realmente la fine. Nessuno si era accorto di niente. Nessuno sapeva. Le bombe non erano state trovate da nessuno. Ed erano tutte perfettamente funzionanti.
Successo assicurato per una volta.

Ma Harvey doveva fare qualcosa prima di schiacciare il pulsante. Non erano cose che prendeva alla leggera.
Qualcosa che aveva rimandato troppo a lungo. Il gesto con cui decideva la sorte dei suoi avversari.

Appogiato sul bracciolo destro c'era il piccolo pezzo di argento che ormai, per Harvey, aveva preso il posto della sua coscienza.

Harvey lo prese. Lo lanciò.

La moneta volò davanti al suo volto spezzato, più in alto della sua testa. Cadde sul palmo della sua mano. La coprì con le dita. Harvey abbassò la testa.

Dalla moneta dipendeva il destino della città.

Tolse le dita e i raggi della luna illuminarono la parte senza sfregi , un volto sano. Testa. Era uscito testa.

Harvey la rimise nel taschino e distrusse il telecomando. La volontà della moneta era inappellabile. Mentre usciva per una passegiata notturna, si chiese quando avrebbe più riavuto possibilità simili. Non importa, si disse, dopotutto non importa, ci saranno altre occasioni.


lunedì 26 gennaio 2009

RICORDI DI UN AGENTE

New York, 2055
L'anziano Generale in pensione dei Servizi Segreti Americani William Dugan tirò un'altra boccata dal sigaro puzzolente che stava fumando, mentre la giovane recluta che aveva davanti lo guardava stupefatto.
"Non mi aspettavo che ti avrei sconvolto a tal punto, ragazzo" disse il generale con un sorriso divertito.
"B-Bè... ecco signore" balbettò la recluta Smith "E' che è incredibile persino per i servizi segreti. Cioè, voglio dire, sapevo che talvolta sapevamo cosa i nemici dell'America avrebbero colpito e che glielo avevamo permesso. Come a Pearl Harbour. Ma che abbiamo permesso ai nostri nemici roba di questo genere è...è... surreale".
"La storia del "Gabinetto del dottor Caligari" è surreale, ragazzo. Questo è un motivo di gioia. Almeno all'epoca, fra noi agenti, lo fu".
"Ma, signore, permettere una simile strage di innocenti, per un motivo tanto futile..."
"Non erano degni nemmeno di dirsi uomini, e non credere che il motivo fosse tanto futile. Eravamo arrivati al limite della sopportazione, simili indecenze erano intollerabili".
"Ma, signore..."
"Lascia perdere, ragazzo, non puoi capire. All'epoca non c'eri"... e a queste parole i ricordi del generale andarono indietro di 46 anni, a quando era un semplice colonnello, a quel giorno...



New York, 2009
Nel QG dell'FBI c'era grande agitazione. La gente correva di qua e di là, era scattato l'allarme rosso, nella sala di controllo missilistica il Colonnello Dugan parlava con il sottoufficiale Reese.
"Allora, la notizia è sicura?" Chiese il Colonnello.
"Affermativo, signore" rispose Reese " I terroristi musulmani hanno realmente intenzione di lanciare un missile terra-aria-terra ad alto potenziale distruttivo. Il loro bersaglio, però, rimane sconosciuto. Abbiamo la certezza, comunque, che il modello che useranno potrà facilmente essere eliminato dai missili della nostra contraerea".
"Almeno una buona notzia" disse Dugan " Bene: aspettate il mio ordine prima di lanciare i missili. E' importante comprendere qual'è il loro obiettivo prima di fermarli".
"Ricevuto,signore".


QG sotteraneo dei terroristi islamici, nello stesso momento
Il capocellula Alì, dall'alto della sua piattaforma, impartiva ordini ai suoi sottoposti. Davanti a lui la rampa di lancio di un enorme razzo così grande da essere capace di distruggere la Casa Bianca.
Sopra, l'enorme apertura verso l'esterno che avrebbe fatto decollare il missile.
"A che punto siete, Mohamed?" Chiese Alì.
"Solo pochi secondi signore" rispose Mohamed, che lavorava ad un computer " Ho quasi finito di impostare il bersaglio".
" Mi raccomando, cerchiamo di fare tutto con cura. E' , questa, una preziosa opportunità di distruggere una volta per tutte la principale fonte del male del mondo occidentale. Non devono esserci errori".
"Non ce ne saranno, signore. Abbiamo finito tutti i preparativi ormai. Attendiamo solo il vostro ordine".
" E dunque: FUOCO".

"Abbiamo individuato il missile, Colonnello Dugan"
"Bene. Siete già in grado di individuare il suo bersaglio?"
"Non ancora signore"
"Di quanto tempo avete bisogno?"
"Non molto. Contiamo di individuarlo in pochi minuti"
"Reese, avete già portato al sicuro il presidente e la sua famiglia, nel caso il bersaglio sia la Casa Bianca?"
"Affermativo signore. Il presidente e la sua famiglia sono al sicuro in un luogo segreto"
"Colonello Dugan, forse abbiamo individuato il bersaglio dei terroristi. Sembra che il missile sia diretto proprio alla Casa Bianca"
"Ne siete assolutamente certi?"
"No, signore. Per averne la certezza dobbiamo aspettare un minuto... e infatti adesso ha cambiato traiettoria. Si stà dirigendo verso il Pentagono"
"Maledizione. Vogliono finire quel che hanno cominciato l'undici settembre"
"Signore, il bersaglio non è il Pentagono. Il missile ha di nuovo cambiato rotta, si dirige verso New York"
"Colonnello, non so lei, ma io sono sul punto di perdere la calma" disse Reese.
"Anche io comincio ad agitarmi, Reese, ma non dobbiamo permettere che le nostre emozioni costino la vita a centinaia di civili"
"Colonnello, il missile non sorvola più il continente americano. Adesso si trova sull'oceano. Forse il bersaglio è una delle nostre basi sull'Atlantico"
"Continuate a monitorarne la rotta"
"Adesso sorvola l'Europa, forse è diretto in Italia"
"Che vogliano distruggere una delle nostre ambasciate?"
"Ne dubito, Reese. Se sono arrivati fin là significa che ciò che vogliono distruggere non ha a che fare con gli USA, ma con l'Italia. La cosa comunque non ci solleva dalla responsabilità di fermarli. Dobbiamo distruggere quel missile, o farà una strage di innocenti. Non importa se innocenti non americani. I missili della nostra contraerea stanno seguendo il tragitto di quell'aggeggio infernale?"
"Affermativo signore. Possono distruggerlo anche a questa distanza"
"Colonnello, il missile si stà allineando. Forse stà per colpire"
"Finalmente. Avete individuato il suo bersaglio"
"Giusto un secondo per avere la certezza assoluta. Indivi...dua...to... cioè, credo..."
"Che ti prende, soldato? Cos'è che vogliono distruggere?"
"Uh, signore, c-credo che vogliano... Cioè, è un pò... sorprendente,ma..."

"Capo Alì, il missile si stà dirigendo verso il bersaglio. Fra pochi minuti la missione sarà compiuta."
"Bene, Mohamed. Bene. Fra poco dunque il più indecente e maligno dei prodotti dell'occidente non esisterà più. Una cosa così sordida da non essere degna nemmeno di un kamikaze. Questo sarà un giorno di festa"

"Insomma, soldato, che ti prende?" tuonò Dugan " Si può sapere qual'è il bersaglio di quei maledetti?"
"E' la casa del grande fratello, signore"
"La-la...che?"
"Ha capito bene, signore: la casa del grande fratello"
"Ne siete certi?"
"Assolutamente"
"I terroristi islamici vogliono distruggere per sempre il grande fratello" disse Reese "Questa è bella. Bè, signore, attendiamo solo il suo ordine per distruggere il missile"
"C-Certo, Smith, certo. Allora, soldati, siete pronti?"
"Affermativo, signore"
"Bene, allora...ehm,allora"
"Qualcosa non va, Colonnello?"
Il colonnello Dugan riflettè un pò, poi disse: " Reese, parliamoci chiaro: quel posto è un enorme insulto al genere umano, se li lasciamo fare, non esisterà più, mai più un reality show appesterà
il mondo. Vuoi davvero fermarli?"
Calò il silenzio. Nel QG si trovarono tutti zitti a riflettere. Dopo alcuni secondi, Reese chiese: " Chi di voi intende fermare quel missile?" Nessuno rispose.

2055,
Smit continuava a guardare l'anziano soldato a bocca aperta con gli occhi sgranati: "Signore, avete permesso l'uccisione di tutte quelle persone"
"Non erano neanche una trentina, e comunque, se erano concorrenti del grande fratello, non erano persone"
"Ma che ne avete ricavato?"
"Ne abbiamo ricavato che da allora non si sono più fatti reality show. Ti pare poco?"
"E-E il presidente?"
"Al momento, noi, il presidente e i terroristi avevamo una identica visione delle cose".
"Capiterà anche a me di prendere decisioni simili?"
"Sì ragazzo, ma non ti proccupare, ti faciliteranno non di poco la vita".

mercoledì 14 gennaio 2009

post di prova